"Epilogo rassicurante-inquietante. Toccherà al capitano Washington sventare il complotto, in un crescendo di grande tensione morale e spettacolare che riscatta le sfilacciature della parte centrale. Ma c'è una (vaga) speranza: se i privati (le multinazionali) complottano, l'Fbi vigila. Anche se a vedere con quanta prontezza i federali cancellano la verità dalla registrazione video trasformando Denzel Washington... in un biondo dal nome tedesco, c'è poco da stare tranquilli. La conspiracy theory sarà anche un genere sfruttato. Ma con le tecnologie di oggi, ne sentiremo parlare ancora a lungo." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 3 settembre 2004)
"Poco spazio rimane per 'The Manchurian Candidate', rifacimento di Jonathan Demme del famoso 'Va'e uccidi'che nel 1963 anticipò l'assassinio di Kennedy. L'azione si sposta al tempo della Guerra del Golfo, Denzel Washington subentra a Sinatra nel ruolo di scopritore di una congiura basata sul lavaggio del cervello di un sicario senza colpa. Meryl Streep incarna da par suo l'anima nera dell'intrigo, ma il film denso e aggrovigliato risulta poco attraente e in USA non ha funzionato." (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 3 settembre 2004)
"Le spire di 'The Manchurian Candidate' sono molto più strette e, nonostante le lungaggini e la deprecabile tendenza a non spiegare a puntino quando, come e perché, si vede che Demme padroneggia con classe il genere fantapolitico e non si limita alla solita reprimenda anti-sistema. Le multinazionali padrone delle sorti del mondo assumono, nel ritmo incalzante e nella svariante messinscena, un ruolo apocalittico che oscilla tra le suggestioni avventurose (la Spectre nemica di James Bond) e il pessimismo cosmico caro ai maestri del noir come Dick o Gibson e ai filosofi della decadenza ('Il tramonto dell'occidente' di Spengler)." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 3 settembre 2004)
"Il ritratto di spietata politicante servito caldo da una Meryl Streep prossima alla macchietta non accresce i valori del film, ma, anzi, contrasta con l'intento del regista Jonathan Demme di pretendere da Washington una recitazione tutta allusiva, sottile, sottotono sulla base dello script di Daniel Pyne e Dean Georgaris, a loro volta ispirati dal celebre romanzo di Richard Condon già trasposto sullo schermo nel '62 con il titolo 'Và e uccidi'. Le spire di 'The Manchurian Candidate' sono molto più strette e, a causa delle lungaggini, delle scene a due di scarsa incisività e della deprecabile tendenza a non spiegare a puntino quando, come e perché, s'intuisce appena come Demme sappia padroneggiare il genere fantapolitico. I temi dell'arroganza del potere, della sicurezza nazionale sbandierata per imporre guerre inutili e delle multinazionali padrone delle sorti del mondo assumono, così, nel ritmo via via più incalzante e confusionario e nella professionale messinscena, un ruolo apocalittico che oscilla tra le suggestioni avventurose (la Spectre nemica di James Bond) e il pessimismo cosmico caro ai maestri del noir come Dick o Gibson e ai filosofi della decadenza ('Il tramonto dell'occidente' di Spengler). Mentre l'implicita reprimenda anti-Bush lascia - anche grazie al recente esito elettorale - il tempo che trova, il lieto fine più bizzarro che inquietante riporta il film nell'alveo del filone della generica lotta al sistema, dell'uomo solo contro tutti che ha come modello 'I tre giorni del Condor'." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 12 novembre 2004)
"Come Frankenheimer, neppure Demme sceglie un partito: la malattia sta nel sistema. Un film eccessivo e allucinato, macchinoso e divertente, istruttivo e macabro. Un thriller magistrale, il ritratto spaventoso di una crisi morale in cui nessuno osa dire più che domani è un altro giorno." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 13 novembre 2004)
"Jonathan Demme non ha soltanto aggiornato la storia, ma ne ha modificato anche le identità e le psicologie dei personaggi. (...) E' soprattutto intorno a questo intrigo che Demme ha dispiegato il suo impiego maggiore fabbricandovi, tra le pieghe, tensioni e sorprese con un crescendo che esploderà alla fine in un attentato non diverso da quello che costò la vita a Kennedy. Interessano un po' anche le pagine tecniche sul lavaggio del cervello, ma a conquistare di più sono i personaggi, soprattutto i più neri, che ordiscono la terribile macchinazione. Si stenta a dimenticarli". (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 12 novembre 2004)
"Lungi dal proporsi come film militante, 'The Manchurian Candidate' vuol essere una riflessione sul potere, la manipolazione, l'egoismo. Nell'assumere il punto di vista di Denzel Washingoton, risoluto malgrado la paura che la testa gli stia deragliando, Demme cade in alcuni effetti visivi inutilmente esibizionistici. Il resto è potente, coinvolgente, allarmante: anche se bisogna tenere sempre innescata l'attenzione per non perdere il filo di una storia complessa, tra derive scientifiche, lavaggi del cervello, labirinti dell'inconscio. Deciso a mettere in stato di allerta il pubblico, piuttosto che a rassicurarlo, il regista dispiega tutta la sua potenza di fuoco nella parte finale, messa in scena come un incubo che si materializza in realtà. Il lavoro è d'alta qualità e pone il prodotto nettamente al di sopra dei thriller politici correnti. Ma si tratta, appunto, di un prodotto senza quella vena di genialità che sonnecchia in Demme e che fece, del 'Silenzio degli innocenti', un capolavoro." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 12 novembre 2004)