"A esibizioni balistico-muscolari il regista John Singleton non ci è mai andato leggero, fin da quando il suo 'Boyz'n the Hood' fece discutere per l'overdose di violenza, e si guadagnò anche due nomination all'Oscar. La sua abilità resta intatta: però la trama è pesantemente ricattatoria e le pause da commedia, contribuendo ad affezionarti ai discutibili eroi, rendono la faccenda ancora più equivoca." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 5 settembre 2005)
"C'è da credere al regista dei ghetti neri John Singleton: non è un remake dei 4 figli di Kate Elder, ma somiglia. E' un violentissimo western metropolitano in uno scenario di neve rossa al sangue in cui quattro fratellastri fast and furious, due bianchi e due neri, tatuati al punto giusto e giustizieri della notte, vendicano l' assassinio della madre adottiva che li ha raccolti all' orfanotrofio. (...)Tutti perdenti, segno che l'autore di 'Boyz ' N' the Hood' non ha aperto il pugno e vede l' America come un Far West privato di ogni codice d'onore. Piazzando i fratelli come agli scacchi (caposquadra Mark Wahlberg) e con ritmo abbastanza travolgente nella prima parte, il racconto invita a non illudersi sull'escalation della violenza: è un filo che arriva da Detroit a Bagdad." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 7 ottobre 2005)
"E' chiaro cosa ha attratto l'ex-regista prodigio di 'Boyz'n the Hood' passato poi a progetti diciamo più eclettici come 'Shaft' o '2 Fast 2 Furious'. In periglioso ma costante equilibrio fra denuncia sociale e cinema di genere, 'Four Brothers' non pecca certo di eccessiva finezza ma ha il tocco ruvido, l'energia, lo humour della cara vecchia serie B. I caratteri dei quattro fratelli ad esempio sono grezzi ma azzeccati. C'è il nero pulito, o quasi, che lavora nell'immobiliare e ha messo su famiglia (l'unico). Il ragazzino bianco che tenta la fortuna nel rock. L'altro nero che vive per la sua focosa amante latina. Poi c'è Bobby (Wahlberg), il primogenito, la testa più calda di tutte. Uno che se cerca un testimone interrompe una partita a basket, spacca la faccia a un giocatore, estrae la pistola. E quando poi trova il testimone, dopo essersela vista con i suoi rotweiler, taglia la corda con cui l'infame sta svignandosela dalla finestra per interrogarlo rantolante al suolo. Ma non pensate alla solita pellicola adrenalinica. Per restare insieme questi quattro fratelli legati da vincoli più forti di quelli di sangue devono pensare, giocare d'anticipo, usare l'astuzia. 'Insisti a bussare alla porta del diavolo e prima o poi qualcuno aprirà', li ammonisce lo sbirro buono che li segue a distanza. Ma loro non sono quelli che bussano, sono quelli che aprono la porta. Registi meno accorti avrebbero calcato sul mélo, sull'azione o sul giallo. Singleton mette la sordina al realismo ma senza annullarlo, e accentua il messaggio interrazziale. Non ci sono colori, solo clan, bande, famiglie. Con chi stare dipende da noi." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 7 ottobre 2005)
"Il regista, già autore di 'Boyz 'N the Hood', e di 'Poetic Justice', dice che 'si tratta a tutti gli effetti di un western; 40-50 anni fa i quattro fratellastri sarebbero stati cowboy'. Due degli interpreti sono invece oggi star della musica nera, la più amata dall'autore, e neri; gli altri due sono attori bianchi; tutti sono davvero molto bravi." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 7 ottobre 2005)
"Il mix razziale dei vendicatori è l'elemento di originalità di 'Four Brothers', che in America ha incassato 20 milioni di dollari nei primi due giorni di programmazione. Tutto il resto appartiene all'equivoco repertorio del cinema di autodifesa. Ne viene fuori un violento western metropolitano dove nessuno è uno stinco di santo, a cominciare da Bobby, appena uscito di galera, però i malvagi sono così abietti da farti incavolare, fornendo un'ambigua giustificazione morale ai giustizieri, che li massacrano, finendoli, già feriti, con colpi di grosso calibro alla testa. Il mestiere di Singleton non è in discussione: lo sono, invece, la trama pesantemente ricattatoria e perfino le pause da commedia familiare, perché contribuiscono ad affezionarti ai suoi discutibilissimi eroi." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 7 ottobre 2005)