Anno: 2005
Colore: A colori
Durata: 98
Titolo originale: The fine art of love - mine ha-ha
Formato: Wide screen
Produzione: Ida di benedetto, stefania bifano, ian balzer, andre' djaoui, patrick irvin per titania produzioni, balzer international films (bif) ltd., box film, creative partners ltd., rai cinema
Distribuzione: 01 distribution
Origine: Italia
Vietato ai minori di: 14
Tratto da: Romanzo "Mine-haha, l'educazione fisica delle fanciulle" di frank wedekind
"'L'educazione fisica delle fanciulle' mette subito soggezione perché ispirato al romanzo dal titolo inquietante, 'Mine Ha-Ha, l'educazione fisica delle fanciulle', scritto nel 1903 da Frank Wedekind, in una situazione claustrofobica, nella fortezza di Konigstein dove era stato rinchiuso per lesa maestà, a causa delle sue poesie antimonarchiche. Ma poi ci aveva pensato Alberto Lattuada, regista appassionato di turbamenti adolescenziali, che da decenni sognava di farne un film, a scrivere con Ottavio Jemma una sceneggiatura meno sulfurea anche se non morigerata: e il regista inglese John Irvin a farne un film né bello né brutto, un po' mistery e un po' horror, di un erotismo letterario in qualche modo fuori tempo, come se la Claudine di Colette dopo aver pasticciato con le compagne di scuola, si fosse trovata davanti al castello di 'Histoire d'O' della Reage e ne fosse fuggita a gambe levate". (Natalia Aspesi, 'la Repubblica', 1 settembre 2005)
"Il grande scomparso Alberto Lattuada, che a Venezia avrebbe meritato una personale, si rifà vivo da solo attraverso una sceneggiatura sulla quale l'inglese John Irvin ha realizzato per una produzione italiana 'L'Educazione Fisica delle Fanciulle'. Lo spunto è tratto da un classico di Frank Wedekind (1864 - 1918), 'Mine Ha-Ha'. Partendo da questo libretto, pubblicato da Adelphi, dove un gruppo di orfanelle tenute segregate dal mondo vengono addestrate alla danza classica, Lattuada reinventò un intreccio di violenze, quasi una metafora dell'orrore dei lager. La fantasia onirica ed evanescente di Wedekind diventa così un'atroce variante della favola di Cenerentola, dove l'incontro con il principe si conclude con uno stupro. Possiamo rimpiangere che al nostro Alberto non sia stato concesso di realizzare personalmente la sua visione acre e paradossale, ma bisogna riconoscere che Irvin ha messo in scena questo inferno delle fanciulle con interpreti ben scelti e in una accurata e suggestiva ambientazione mitteleuropea". (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 1 settembre 2005)
"Adattato da Ottavio Jemma e Alberto Lattuada, 'Mine-Haha' doveva essere l'ultimo film del grande regista milanese scomparso quest'estate. Invece il copione è finito nelle mani superprofessionali del britannico John Irvin che ne ha tratto un'illustrazione minuziosa ma un poco ovvia, un horror sociale accuratissimo nella ricostruzione d'ambiente, scene, costumi, gesti, etichetta, ma stranamente privo di atmosfera, forse perché girato nell'algido inglese delle co-produzioni, e perennemente indeciso fra psicologia e metafora, verosimiglianza storica e fuga nell'astrazione. Con pagine di orrore vero (la giovinetta in fuga sbranata dai cani nella notte, allusione ad altri e futuri campi di prigionia). E bruschi ritorni al contesto originario che anziché rafforzare indeboliscono il tutto. Peccato, perché nella prima metà del film Irvin e le sue affiatatissime interpreti accumulano tensione e mistero. La direttrice-kapò Jacqueline Bisset, l'insegnante di danza Silvia De Santis, innamorata di un'allieva, le inquietanti comprimarie Galatea Ranzi ed Eva Grimaldi, per non parlare delle ragazze fra cui spicca la bravissima Hannah Taylor-Gordon, intrecciano un crescendo di segreti, intrighi, passioni proibite, soluzioni efferate, che oggi siamo abituati a incontrare solo nei più efferati horror asiatici. Ma che qui, curiosamente, non trovano mai la giusta misura." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 1 settembre 2005)
"In 'L'educazione fisica delle fanciulle', tratto da una sceneggiatura scritta (con Ottavio Jemma) dal recentemente scomparso Alberto Lattuada sulla base del romanzo 'Mine Ha-Ha' di Wedekind, John Irvin tratta con un pizzico di audacia e una dose più robusta di prudenza il tema sempre attuale del controllo sociale e della perdita dell'innocenza. (...) Nell'ambito di un cinema italiano pervicacemente provinciale e tematicamente adolescenziale, questa coproduzione italo-ceco-britannica dimostra una certa fantasia e un insolito coraggio; peccato che manchi all'appello dello schermo una sterzata linguistica, una scommessa stilistica, un turbine creativo che sconvolga il compitino e cerchi un vero aggancio con il vigore erotico e l'afflato iconoclasta di un autore non a caso bandito a suo tempo come osceno" (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 1 settembre 2005)