Anno: 1993
Colore: A colori
Durata: 105
Titolo originale: Per amore, solo per amore
Formato: Wide screen
Produzione: Filmauro - aurelio de laurentiis
Distribuzione: Filmauro - filmauro home video
Origine: Italia
Tratto da: Tratto dal romanzo omonimo di pasquale festa campanile
"Non tutto funziona a dovere, va da sè, ma la dominante favolistica non viene mai meno e la tentazione della parodia risulta accuratamente respinta: non era affatto facile trovare una coloritura brillante, un po' magica un po' allucinata, per vicende cinematograficamente sbiadite. Solo giganti come Martin Scorsese hanno, in tempi recenti, saputo invertire il destino hollywoodiano degli show evangelici, accendendo sullo schermo, insieme alla suspense religiosa, un moderno talento visionario. Veronesi non ha statura omologa ma, nei suoi limiti, il film gli riesce facile e scorrevole, il ragionamento non prevarica lo stile e la poesia fa capolino senza esibirsi in mosse ad effetto. Particolarmente calibrato è l'ultimo sviluppo narrativo, che mette ai margini proprio il protagonista... 'Per amore solo per amore' disposto ad autoescludersi dal rapporto ineffabile tra la Madre ed il Bambino. Sacro e profano si confondono nel suo progressivo esercizio d'innamoratissima pazienza." (Il Mattino, Valerio Caprara 13-11-93)
Per amore solo per amore è indubbiamente, un prodotto singolare, forse inutile, a tratti inerte. Troviamo superfluo il confronto con il libro di Festa Campanile rispetto alla cui natura il film, comunque, accentua il cinismo e smorza la spiritualità. Veronesi (sceneggiatore di quasi tutti i film di Francesco Nuti e debuttante alla regia con Marameo, qualche anno fa) si lascia tentare dalle lusinghe del simbolismo (un anacrostico cavallo bianco - la libertà? - in stile bagnoschiuma, una torre nel deserto - il peccato? - Troppo fallica) ma fa bene a fidarsi dell'espressività assente e dell'autoironia distratta di Diego Abatantuono, non ancora completamente sgusciato fuori da Puerto Escondido e, forse, tatticamente, meno esplicito di quanto lui amerebbe. Graziosa e invitante Penelope Cruz, più consono ai Monthy Pyton de La vita di Brian, Alessandro Haber, bellissima ma un pò cresciutella (per la parte) Stefania Sandrelli. (Il Messaggero, Fabio Bo 01-11-93)
Curiosa opera seconda, questa di Veronesi. Il regista toscano aveva esordito sei anni fa con l'insolito Maramao: una storia di bambini in cui gli adulti erano sempre inquadrati solo dalla vita in giù, come nelle strisce di Linus. E qui Veronesi sembra citarlo, dedicando la prima inquadratura ai piedi di Socrates che avanzano nel deserto, per poi far nascere l'amicizia fra il greco fuggiasco e l'ispido falegname palestinese. In fondo i duetti fra Haber (che, interpreta Socrates) e Abatantuono sono la cosa migliore del film, una bizzarra solidarietà virile che sopravvive alle violenze e ai traumi della vita. Mentre l'approfondimento psicologico di personaggi come San Giuseppe e la Madonna, che archetipi sono e archetipi dovrebbero rimanere, zoppica non poco (sarebbe come raccontare la vita di Babbo Natale, o inventarsi la giovinezza della Befana). Abatantuono regge anche i dialoghi più "attuali" ed improbabili, ma lo stesso non può dirsi dei comprimari (non si può, davvero non si può sentire il fratello di Giuseppe che lo accusa di aver difeso un'adultera chiedendogli: "Te la sei fatta anche tu?"). Alla fine, complice anche la zuccherosa, onnipresente musica di Piovani, si ha la sensazione di un film irrisolto: indeciso se diventare una commedia moderna in abiti antichi, una versione quotidiana del Vangelo di Pasolini (ma siamo lontani anni luce) o un apologo fuori del tempo sui temi della famiglia, sacra e non. (L'Unità, Alberto Crespi 03-11-93)
Pur se il passaggio di Stefania Sandrelli nell'insulso personaggio della cortigiana non lascia traccia, si può dire che le presenze degli interpreti per scelta oculata e ottima evidenziazione delle qualità individuali formano l'attrattiva del film; e ne conferma l'assenza di volgarità, il civile livello e l'aspirazione a due soldi di poesia. Meno convincono (e qui ci si potrebbe riallacciare al discorso dei piedi...) il tono generale della regia, l'abuso incontinente delle musiche di Nicola Piovani, l'ambientazione convenzionale nonostante la trasferta tunisina: insomma i modi e i tempi del racconto per immagini. (Il Corriere della Sera, Tullio Kezich 01-11-93)