Anno: 2005
Colore: A colori
Durata: 107
Titolo originale: Il regista di matrimoni
Formato: 35 mm
Produzione: Marco bellocchio e sergio pelone per filmalbatros, rai cinema, dania film, surf film, filmtel, con il sostegno del mibac
Distribuzione: 01 distribution (2006)
Origine: Italia
"In molti già dettano il libretto d'istruzioni. Ma non rendono un buon servizio a Marco Bellocchio, il più visionario, il più inquietante, il più indecifrabile tra i registi italiani: se il suo puzzle volesse dire qualcosa di preciso e quindi, fatalmente, di scontato o perentorio non ci sarebbe esperto che tenga, la partita dello spettatore sarebbe persa in partenza. Di fronte agli intarsi de 'Il regista di matrimoni' è proprio l'ansia d'incanalarlo in una direzione che rischia di smontare le scene allusive, i fili in sospeso, le immagini a doppia o tripla chiave: il pendolo sempre in moto tra il sublime e il ridicolo deve giocoforza riguardare il film stesso - se non addirittura il cinema - anziché il gioco delle interpretazioni. La sensibilità dell'autore piacentino (mai così vicino a Buñuel o a Ferreri) si esprime, insomma, in forma di stile e la trama, che sembrerebbe assai pretestuosa, funziona come una squisita favola iniziatica che trasfigura senza sosta tempi, corpi e luoghi. Del resto i sogni non sono un surrogato della realtà, bensì un'altra e più profonda realtà alla quale è in parti uguali doloroso e piacevole abbandonarsi senza remore. (...) L'unica cosa certa è che occorre decidersi se rincorrere le metafore interne - Moretti contro Placido, 'Il Caimano' in concorso a Cannes con 'Il regista di matrimoni' sterilizzato in una sezione collaterale - e le uscite oracolari - 'In Italia comandano i morti' - oppure leggere il film come l'epopea di un moderno cavaliere che affronta mostri e labirinti per potersi congiungere con un'ammaliante dea del mare. Al di là del mandato critico, non avremmo dubbi nello scegliere la seconda strada." (Valerio Caprara, 'Il Mattino, 22 aprile 2006)
"Davanti a 'Il regista di matrimoni' si resta divisi fra la tentazione di andare dove ci porta Marco e quella di trattenerlo dagli scivoloni che comporta ogni confessione a cuore aperto. Per la centesima volta negli oltre quarant'anni trascorsi da '8 ½' assistiamo alla crisi di un cineasta che non ha più voglia di girare un film. (...) Al di là degli improbabili personaggi, nel film contano soprattutto i panorami mediterranei fra sole e mare, i notturni smaltati, i riti religiosi e le musiche scelte di Mascagni e no. Sergio stesso si concede una serenata intonando 'O Lola ch'ai di latti la cammisa' e rimedia una secchiata d'acqua in testa: a conferma del fatto che fra le braccia di Morfeo bisogna aspettarsi di tutto, incluse le umiliazioni. Del bravo Castellitto si può dire che suscita la voglia di affidarsi a lui come all'unica guida possibile nel confuso paesaggio che lo circonda. A momenti brilla la speranza che quel mancato regista dei 'Promessi sposi' ne sappia più di noi, però sulla stanca subentra la sfiducia. Si intuisce che Bellocchio, invisibile burattinaio, non vorrà spiegarsi, lasciandoci in mezzo agli interrogativi; e proprio questo succede, nonostante una parodia di lieto fine. In cui risuona come estremo sberleffo la voce ironica di Mariangela Melato che canta 'Sola me ne vo per la città'. Si esce dal cinema con la sensazione che questo film, ammirevole sotto il profilo dello stile, è troppo narrativo per essere astratto e troppo astratto per proporsi come racconto. 'Il regista di matrimoni' va messo fra le cose che non si spiegano con le parole, come un quadro o una musica. 'Ein traum, was sonst?': Kleist aveva capito tutto." (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 21 aprile 2006)
"Le prime inquadrature di Castellitto evocano in automatico 'L'ora di religione'; però 'Il regista di matrimoni' è un' 'Ora di religione' proseguita con altri mezzi: un film ancor più personale, inconsueto, libero - nello spirito e nella realizzazione - come non se ne vedevano da parecchio tempo. Il modo singolarmente rilassato della realizzazione ammorbidisce i toni, vela il film di uno strato umoristico e ironico. Il che non frena impulsi polemici contro il cinema italiano contemporaneo o la realtà sociopolitica. Tra i cadaveri dominanti, è compreso un testo sacro come 'I promessi sposi', da cui il regista Elica dovrebbe ricavare un film e che il regista Bellocchio, invece, si diverte a rileggere importandone personaggi e temi nella sua storia per poi ribaltarli con spirito sanamente iconoclasta. Divertenti le sentenze 'godardiane' sul far cinema, attribuite al personaggio del Principe di Gravina: 'è il film, il film che conta, non il supporto' e 'il cinema è montaggio'. Sia vero o no, il montaggio di Francesca Calvelli è perfetto." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 21 aprile 2006)
"Riabilitato l'inconscio e le associazioni libere, ecco il film più sperimentale e oscuro di Bellocchio, che mixa onirico e reale, il piacere del sogno dove tutto è lecito e l'imbarazzo della vita, richiamandosi ai temi preferiti. Con momenti di grande suggestione visiva, dogmi godardiani (il cinema è montaggio) e anche una sorta di prontuario imbarazzante su come vincere i David in un Paese dominato dai morti. Nella storia metacinematografica del regista in crisi che, approdato nella barocca Sicilia, vuole rapire la fanciulla di cui dovrebbe riprendere le nozze, c'è di tutto e di più: la fiaba, l'ironia surreale buñueliana, e pure la versione intellettuale di Divorzio all' italiana. Gli elementi in gioco sono quelli anche se nel finale, ovvio, il divertimento è spaiare, lasciare aperto tutto per impressionare ancora e sempre l'odiato pubblico borghese." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 19 maggio 2006)