Anno: 2005
Colore: A colori
Durata: 96
Titolo originale: L'enfer
Formato: Wide screen
Produzione: A.S.A.P. films, sintra, man's films production, bitters end, france 2 cinema, d.D. production, rtl - tvi, rai cinema, con il sostegno di eurimages
Distribuzione: 01 distribution (2006)
Origine: Belgio, Francia, Italia
Tratto da: Dalla trilogia "Il paradiso, l'inferno, il purgatorio" di krzysztof kieslowski e krzysztof piesiewicz
"Nella storia si ritrovano molti dei temi cari al cinema di Kieslowski: l'inevitabilità del destino, il dovere della responsabilità, la contraddittorietà dei sentimenti, lo svelamento di una verità sconosciuta ed imprevedibile. E ancora l'idea che l'inferno faccia parte della vita di tutti i giorni, senza bisogno di essere necessariamente immersi in una tragedia come quella dei Balcani. Forse proprio questa constatazione è stata la molla che ha spinto Tanovic a realizzare il film." (Franco Montini, 'cinematografo, it', 9 giugno 2006)
"Dopo il successo di 'No man's land', Danis Tanovic cambia registro, scende dalla guerra e va in pace a Parigi dove trova il suo inferno sentimentale osservando i bilanci affettivi di tre sorelle col padre suicida e mamma Bouquet. Ci sono corsi e ricorsi anche nel cuore, ricatti e rimorsi di famiglia, inquieti destini. Il copione del compianto Kieslowski e di Piesiewicz lascia presagire poca felicità per tutti, ma il film traduce l' 11° comandamento con una certa banalità (l'inferno sartriano...) e troppo melò. Restano le bravi attrici che rinunciano perfino alla beltà: Emmanuelle Béart, trucco o no, rifulge di luce propria." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 9 giugno 2006)
"Chi si aspetta il pendant ultradrammatico di 'Volvér', la formidabile tragicommedia di Almodòvar tutta declinata al femminile, rimarrà deluso: 'L'enfer', opera seconda di Danis Tanovic basata su una sceneggiatura di Kieslowski, non convince. Poco pathos, nessun mistero, personaggi senza sfumature, metafore ridondanti penalizzano il film che si trascina in un clima volutamente da tragedia greca (con rimandi "telefonati" a Medea) e finisce per annegare nella pesantezza e nella retorica. Emmanuelle Béart con le labbra sempre più gonfie, risultato evidente di interventi estetici devastanti, si conferma una delle attrici più sopravvalutate degli ultimi anni: qualcuno le spieghi che viso senza trucco & capelli scarmigliati non sono sinonimo automatico di grande interpretazione. Karin Viard, la sorella sola, non abbandona mai l'espressione stralunata, nemmeno quando scambia per grande amore l'omosessuale che le rivela di aver inguaiato il padre. Mentre Marie Gillain impazzisce di passione per il professore charmant Jacques Perrin che però non molla la famiglia ma morirà tragicamente lasciandola incinta. E Carole Bouquet, truccata da ottantenne, muta e paralizzata, con le sue occhiate di fuoco risulta tutto sommato la più convincente del gruppo al quale si aggiunge un cameo del grande Jean Rochefort, nella parte di un ospite della casa di riposo. Passato dall'inferno della guerra nei Balcani all'inferno privato di una famiglia borghese, sostenuto da una mega-coproduzione italo-francese-belga-giapponese e fornito di un cast stellare, il regista-Oscar di 'No man's land' questa volta sbaglia film e va a ingrossare l'elenco delle opere seconde non riuscite. Un vero peccato, dato il talento innegabile, molto originale del trentasettenne cineasta di origine bosniaca. 'L'enfer' appartiene alla trilogia 'Inferno, Paradiso, Purgatorio' scritta da Kieslowski con il fido sceneggiatore Piesiewicz prima di morire e destinata a tre giovani registi europei. Il deludente film di Tanovic arriva dopo il flop del 'Paradiso', portato sullo schermo dal tedesco Tykwer. Con questi precedenti, c'è da augurarsi che nessuno sia così temerario da imbarcarsi nel 'Purgatorio'." (Gloria Satta, 'Il Messaggero', 9 giugno 2006)
"Da una sceneggiatura del compianto Kieslowski, l'emergente regista bosniaco Danis Tanovic ha tratto un film algido e tormentoso, elegante e ridondante, probabilmente estraneo alle sue corde. 'L'enfer', infatti, non ha nulla a che vedere con i toni cronachistici, caustici e beffardi di 'No Man's Land' e s'immerge in un purgatorio di sentimenti tutto al femminile senza beneficiare di una particolare ispirazione né di un vero slancio stilistico. (...) È chiaro che i classici leit-motiv kieslowskiani (esaltati dal celebre 'Decalogo') si ritrovino diligentemente sciorinati, dall'inevitabilità funesta del destino alla natura che è sempre matrigna, dall'enigma delle coincidenze che cambiano la vita alle tare psicologiche dovute ai traumi familiari e all'ipotetica circolarità del peccato e della colpa. La grandezza di Kieslowski sta, però, nel saper modificare il corso anche banale di una trama con uno svelamento metafisico capace di ribaltare il senso delle cose. Il discepolo (improvvisato) Tanovic, al contrario, non sembra interessato a scandagliare le risonanze profonde di rimorsi, ricatti e agnizioni e finisce con l'accompagnare come un notaio fatti e interpreti limitandosi a garantire la correttezza delle inquadrature e a manipolare i tagli temporali del montaggio. Così 'L'enfer' non decolla mai, neppure quando fra le donne s'insinua l'uomo che fornirà la chiave per comprendere meglio il passato e, soprattutto, le costringerà a fare finalmente i conti con il suicidio del padre. Certo le attrici sono tutte tecnicamente smaliziate, ma la regia non riesce a restituire in termini di pathos ciò che toglie in avvenenza: un'opzione penitenziale che rasenta il ridicolo nel caso di Emmanuelle Béart, la pasionaria del cinema francese già punita a sufficienza da un lifting devastante." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 10 giugno 2006)