Anno: 2006
Colore: A colori
Durata: 104
Titolo originale: La stella che non c'è
Formato: Wide screen
Produzione: Riccardo tozzi, marco chimenz, giovanni stabilini per cattleya, rai cinema, babe, carac film, rtsi, achab film
Distribuzione: 01 distribution
Origine: Francia, Italia
Tratto da: Liberamente ispirato al romanzo "La dismissione" di ermanno rea (ed. rizzoli)
"Bravissimo, Castellitto offre la radiografia del cuore, conquista la sua tenerezza e guarda senza pregiudizi un altro mondo con l'aiuto di una cinese ragazza madre. Parte in camion la crisi esistenziale e la portata morale, tipica di Amelio, d'una ricerca intrisa di illusioni e delusioni: per ottenere altri valori piangere fa bene. Road movie doppio all'Antonioni con finale di speranza e un discorso che da concreto si fa, per magia di cinema, astratto e interiore, come se il regista filmasse e firmasse con una dolcezza superiore alla sua media sguardi, silenzi, sospensioni di chi ha sprecato la vita e non lo sa. Tema classico, la voglia di paternità. E la stella che manca è l'innocenza, infatti forse è quella di un giocattolo." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 29 settembre 2006)
"Una cronaca realistica, ma anche una riflessione, filtrata quasi attraverso l'intimismo, su un personaggio che vede sconfitta una sua ostinatissima ossessione dalla scoperta di valori più quieti, come quelli espressi dai bambini. (...) Questo percorso psicologico Amelio l'ha svolto in due momenti paralleli ma strettamente intrecciati. Uno, il viaggio in una Cina ora supermoderna, ora rurale, ora costellata di bellezze naturali, cui la fotografia splendida di Luca Bigazzi dà risalti magnifici superando, nella descrizione del quotidiano nelle città, perfino quella di Zhang Yimou nella 'Storia di Qui Ju'. L'altro, tessendo di fili sottilissimi il rapporto via via sempre più diretto fra il protagonista e la sua interprete, madre segreta di un bambino che ha dovuto tener nascosto e che finirà per essere la molla del ripensamento psicologico dell'altro, venuto per riparare una acciaieria e pronto, invece, alla fine, ad occuparsi del semplice giocattolo di quel bambino. Facendo confluire questi due momenti, con il commento delle musiche, sempre suggestive di Franco Piersanti, ingemmate da cori cinesi, in un lunghissimo primo piano del protagonista, prima deluso fino alle lacrime, poi virilmente pacificato e mutato. Sublima questo primo piano, preceduto comunque da altri di vitalità quasi pari, l'interpretazione superba di Sergio Castellitto, mai così intenso, mai così vibrante, mai così fortemente segnato. Al suo fianco, in cifre più semplici, l'esordiente cinese Tai Ling." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 5 settembre 2006)
"L'impressione che se ne ricava è quella di una storia quasi in fieri, fluida e svariante fin quando, appunto, si esprime nel tocco e nell'abbozzo, nel flash lirico e nel guizzo del dialogo; ma poi svaporata e impalpabile quando l'oscuro malessere dell'approccio dovrebbe secernere una riflessione densa o anche un empito liberatorio. (...) Qualcuno citerà Antonioni - più 'Chung Kuo-Cina' che 'Professione: reporter' -, ma in questo caso Amelio appare un regista del tutto diverso, portato ad accarezzare con sentita tenerezza i corpi ed i paesaggi e, in fondo, a disagio nell'evocare il pathos segreto delle situazioni. L'indubbia forza morale del viandante non aiuta a scalare la montagna della Cina comunista/capitalista, ma, al massimo, ci fa intravedere i suoi insospettati, insondabili, ambivalenti contrafforti. Che ci convivano sacche di povertà spaventose, rampantismo industriale e deliziosi frugoletti, insomma, 'La stella che non c'è' riesce a raccontarlo senza enfasi: quello che manca, però, e gli impedisce di volare molto in alto è un contrappunto psicologico forte, una corposa traiettoria drammaturgica, un 'riscatto' meno telecomandato dell'italiano-brava-gente che nel finale s'abbandona a un pianto irrefrenabile." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 6 settembre 2006)
"Serrato nella prima parte, che guarda con dolente curiosità le diversità della terra e del cuore, il film rallenta troppo nel finale, senza sceneggiatura e senza bussola. Eppure il lungo viaggio verso il confine impossibile resta affascinante." (Claudio Carabba, Magazine, 14 settembre 2006)