Anno: 2001
Colore: A colori
Durata: 130
Titolo originale: A beautiful mind
Formato: Wide screen
Produzione: Imagine entertainment, universal, dreamworks
Distribuzione: Uip, dvd universal (2002)
Origine: Stati uniti
Tratto da: Libro omonimo di sylvia nasar
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"Otto volte candidato all'Oscar, bene interpretato da Russell Crowe, tratto dalla biografia scritta da Sylvia Nasar, è il classico film con malato hollywoodiano (...) Il film, che censura i rapporti omosessuali del professore è stato fortemente attaccato dalle associazioni americane di gay e per i diritti civili". (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 22 febbraio 2002)
"L'intera credibilità del film riposa sulla forza del racconto e sulle spalle di Russell Crowe: l'attore evita ogni smania risaputa, sfuma sapientemente i confini tra normalità e follia e grazie a piccoli tocchi stupefatti dipinge John Nash come un eccentrico che sfida il mondo e ne è vinto. Nomination all'Oscar meritatissima, quanto quella di Jennifer Connelly che sta accanto discreta, con la forza dimessa e dirompente che sanno a volta mostrare le donne". (Piera Detassis, 'Panorama', 28 febbraio 2002)
"La biografia cui il film si è ispirato, scritta da Sylvia Nasar, dice cose ignorate dal film: che da studente Nash fu omosessuale, che divorziò dalla moglie che lo fece internare, che diceva d'essere in contatto con gli alieni e Imperatore della Antartica. Ma nei film, anche se pazzi, gli eroi non fanno mai cose indecenti. Russel Crowe rappresenta il dolore della follia quasi cancellandosi fisicamente: per il Nobel lo truccano mirabilmente facendo di lui un autentico vecchio, senza cancellare il ricordo delle sue mitiche gambe nel 'Gladiatore'". (Natalia Aspesi, 'D - la Repubblica delle donne', 12 febbraio 2002)
"Magari Russell Crowe vincerà un altro premio Oscar per questa interpretazione vistosa e priva di sottigliezze. Ma è decisamente più a suo agio in film come 'L.A. Confidential' e 'Il gladiatore', così come Howard ci piace molto di più come regista di 'Apollo 13' o 'Il grinch'". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 22 febbraio 2002)
"La buona idea del film consiste nell'installare il dubbio nella mente dello spettatore, che resta incerto tra una versione soggettiva e una oggettiva dei fatti. Peccato che il bel gioco duri poco: perché Ron Howard, preoccupato di rendere il senso degli avvenimenti accessibile a tutti, banalizza i dubbi chiarendo che si tratta di ossessioni del protagonista. Va bene risparmiare al pubblico dei non-iniziati le complesse teorie matematiche; meno bene trattarlo come una massa di scolaretti, spiegandogli ogni cosa puntigliosamente e concludendo con una tirata benpensante sui miracoli dell'amore coniugale. Così, se la prima parte è coinvolgente, la seconda diventa didascalica e un po' noiosa". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 24 febbraio 2002)
"Prima ancora che un film senza difetti, una storia vera quasi immaginaria che si insinua sotto pelle. Anche se sono da ricordare almeno Ed Harris e l'emergente Paul Bettany, molto si deve alla performance di Russell Crowe, la cui interpretazione supera di slancio ogni abitudine. Dipingendo, con piccoli tocchi stupefatti, Nash come un eccentrico che sfida il mondo e ne è vinto, Crowe vola al di là del consueto e ana i confini rigidi tra normalità e follia. Di Nash non sapremo mai dove finisce una certa quotidiana dissociazione e dove comincia la vera malattia mentale. Crowe non ce lo vuole dire e fa bene. Ecco la storia tortuosa di una mente, nonostante tutto, stupenda. Cioè semplicemente umana". (Piera Detassis, 'Ciak', 1 febbraio 2002)
"Howard, che da 'Fuoco assassino' a 'Apollo 13' ha dimostrato di saper miscelare melò e azione come una volta riuscivano a fare i registi americani degli anni '40, costruisce nel tradizionale melodramma hollywoodiano delle tensioni angosciose, quasi estranianti, in cui la potenza dell'intelligenza diventa la fonte di un'allucinazione costante, di uno sguardo perennemente diviso tra purezza e persecuzione, amore e terrore. Gli ambienti di Princeton, nella cristallina fotografia di Roger Deakins, il direttore della fotografia al quale si devono molte straordinarie immagini dei film dei fratelli Coen, possiedono l'aura claustrale di un'età fantastica, un medioevo irreale che cozza contro la nevrosi dell'America della guerra fredda, nella quale precipita a spirale la psicosi del protagonista. (...) Paura, amore illimitato, senso inaudito di sconfitta: per essere un film da Oscar, 'A Beautiful Mind' lascia troppe volte lo spettatore sull'orlo di sentimenti aspri e abrasivi. Resi ancor più laceranti dal fatto che a dovervi fare i conti sia proprio un matematico di genio, costretto a fare la spola tra il mondo perfetto delle idee matematiche e quello ambiguo, misterioso e assurdo della propria vita". (Mario Sesti, 'Duel', i febbraio 2002)
"'A Beautiful Mind' è un film dalle cadenze classiche e impreviste. Nasconde con abilità i risvolti misteriosi della sceneggiatura e con senso sotterraneo del suspense centellina dubbi e rivelazioni, quasi la consapevolezza degli spettatori dovesse andare di pari passo con quella del protagonista. Non esita davanti all'esasperazione e non si vergogna della commozione. Ron Howard cresce sempre di più come regista e, se non inventa, certamente ama raccontare". (Emanuela Martini, 'Film Tv', 26 febbraio 2002)
"Il film è lievemente retorico, e smussa gli angoli più controversi della personalità di Nash. Non approfondisce né gli aspetti clinici della sua schizofrenia, né le sue teorie. Ma non poteva essere altrimenti: i primi sarebbero troppo dolorosi per il pubblico, le seconde del tutto incomprensibili per chi é digiuno di alta matematica. È un film sul Genio che non spiega il Genio, un po' come 'Amadeus' di Forman, su Mozart e Salieri. Ci racconta però una storia complessa, coinvolgente, con risvolti thriller non banali. Howard è un regista troppo bravo per fare un film noioso. Anche se, nella sua carriera, 'A Beautiful Mind' rimarrà, nonostante le 8 candidature all'oscar - un titolo di transizione". (Alberto Crespi, 'l'Unità', 22 febbraio 2002)
"Accademico nell'ambientazione e negli slanci emotivi, assai meno nella sceneggiatura, il film di Howard si adagia sulla falsariga del classico biopic (film biografico) e ci lascia con il sospetto della classica occasione perduta, di una dinamica dominata dal divismo. Se nelle Nomination per gli attori protagonisti, accanto a Russell Crowe, per altro ammirevole quando colleziona gaffe o trascina i piedi come fanno gli handicappati, figurasse Jennifer Connelly, 'A Beautiful Mind' potrebbe giustamente ambire all'Oscar per il miglior film dell'anno. Purtroppo non è così: l'altra metà del cielo concorre tra le non protagoniste". (Alfredo Boccioletti, 'Il Resto del Carlino', 24 febbraio 2002)
"Si può fare un bel film che nello stesso tempo è una stupidaggine? Nei remoti anni '30, prima che se ne impadronissero gli intellettuali, il cinema era proprio quel fenomeno ingenuo e furbo che ritroviamo in 'A beautiful mind', dove la storia vera diventa romanzo d'appendice (...) Leggo che Nash e signora, ormai risposati, hanno assistito con il regista Howard alla proiezione della pellicola e mi piacerebbe sapere che cos'è passato nella mente del fanta-biografato, restaurata ma forse messa troppo a dura prova. Pare che lo abbia colpito soprattutto la sequenza dell'elettrochoc. Spiegazione dell'iperazionale scienziato: 'Nel corso del trattamento sei incosciente e questo è dunque l'unico capitolo della mia vita che posso affermare di non aver vissuto'. Troppo buono, direi, nei confronti di un film che le spara ben più grosse". (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 23 febbraio 2002)